Il mercato italiano all’interno del contesto europeo: differenze, specificità, ritardi
dal 18 al 21 ottobre 2010 l’Europa del fitness si è radunata a Barcellona per il 10° congresso Europeo di IHRSA. Più di 500 partecipanti provenienti da 26 paesi si sono confrontati per quattro giorni sulle problematiche relative all’andamento del mercato, al suo sviluppo e alle prospettive che questo importante comparto dell’economia offre ai suoi operatori. Il mercato europeo vale circa 23 miliardi di euro, con il Regno Unito che fa la parte del leone con circa 4,2 miliardi di euro di valore stimato, seguito da Germania e Spagna con circa 3,8 miliardi, e successivamente dall’Italia con circa 2,8 miliardi, quarta fra i grandi paesi europei. Il fatto curioso, e preoccupante per il nostro mercato, è che l’Italia conta (ma i dati sono relativamente attendibili poiché le fonti sono diverse e non coordinate fra di loro) circa 7.500 referenze (club, palestre e centri sportivi di vario genere) contro i meno di 6.000 del Regno Unito.
Questo elemento rappresenta uno dei mali endemici del mercato del fitness italiano, ovvero l’eccessiva quantità di micro club di dimensioni piccole o piccolissime (inferiori ai 500 mq) che sovraffollano il territorio. Dato il relativo indice di penetrazione del prodotto; ovvero la percentuale di popolazione attiva che compera regolarmente un abbonamento in palestra, che in Italia si stima attorno all’ 8% medio, ma che varia sensibilmente da città a città e da regione a regione; una sovra offerta determina un’ insufficiente dimensione del bacino di utenza per garantire abbastanza soci per ogni clubj, con il conseguente risultato di non avere abbastanza ricavi per sostenere il business.
E’ un fenomeno di zoologia economica, un branco di predatori (di lupi per esempio) ha bisogno di un territorio abbastanza vasto affinché ci siano abbastanza prede per garantire la sopravvivenza del branco. Se il territorio è troppo piccolo e il branco troppo grande si determina uno stato di deprivazione con conseguente pericolo di sopravvivenza. E’ ciò che succede in alcune zone in Italia, troppi club e troppo pochi clienti, a ciò si aggiunga una diffusa miopia imprenditoriale e gestionale, il risultato finale è un mercato deprivato che tende al ribasso utilizzando la guerra del prezzo per competere. La crisi degli ultimi due anni ha agito in parte come selettore naturale, determinando l’estinzione di alcuni operatori troppo deboli, ovvero non strutturati managerialmente e finanziariamente per far fronte alla contingenza negativa. Questo fenomeno è sicuramente un bene per il mercato stesso che si trova costretto ad auto livellarsi e trovare strategie efficaci di sopravvivenza. Dal congresso IHRSA sono emerse alcune tendenze che si possono considerare percorsi consolidati che caratterizzeranno il mercato nei prossimi 3 – 5 anni.
Il web marketing e l’utilizzo dei social media
Il modo tradizionale di fare marketing non è più sufficiente a garantire i flussi necessari al prosperare dei club. Ai consueti canali di comunicazione e alle tecniche di ricerca del prospect che tutti conosciamo, vanno aggiunti nuovi modi di interloquire con i clienti, sia quelli acquisiti che i potenziali. I social media (evoluzione del termine social network) sono un potente ed economico strumento che le aziende stanno efficacemente usando per migliorare il proprio “awareness” nei confronti dei clienti. Esistono però delle “regole d’oro” per evitare di essere nella migliore delle ipotesi inefficaci, nella peggiore di creare più danni che risultati utili. Prima di tutto il social network non è un luogo dove vendere il proprio prodotto, per questo esiste il sito web, che ufficialmente presenta l’azienda e i suoi vantaggi. Nel social network si condividono interessi e si scambiano informazioni, qui vige la regola del “permission marketing” ovvero ottenere il permesso di comunicare e successivamente di passare ad un livello ulteriore.
Appena i partecipanti alla vostra rete si accorgono che state usando il social media per spingere ad alta pressione le vendite del vostro prodotto se ne vanno immediatamente, o peggio innescano una spirale pericolosissima di passaparola negativo che, per via delle peculiari caratteristiche della rete, si diffonde ad una velocità impressionante. Il livello di partenza è la creazione del network, per cui sarà necessario (creando la pagina “fan” in Facebook, o postando un micro blog in Twitter per esempio) aggregare persone attraverso l’informazione e la condivisione. La fase successiva è quella di mantenere il social network attivo, vivo e monitorato. Una volta raggiunto questo livello potete cominciare ad inserire informazioni e comunicazioni più mirate a convogliare interesse verso eventi specifici che si svolgono nel club o in luoghi di aggregazione coi quali avete accordi di comarketing e a promuovere moderatamente e indirettamente azioni di passaparola con l’obiettivo di innescare il meccanismo del “member get member”, ovvero il cosiddetto “porta un amico”.
Personal Training, Small Group Training e Pay per use
Il primo fattore non è nuovo nel nostro mercato, tuttavia i club che hanno strutturato un profittevole sistema di gestione del business dei PT non sono ancora molti. Come in tutte le imprese economiche, anche la gestione efficace di questo importante elemento di aumento dei ricavi richiede competenza, preparazione, pianificazione e controllo. Il mercato comunque è sempre più maturo e recettivo e il fenomeno del PT non è più percepito come un prodotto d’elite, ma come un servizio accessibile e di valore. Conseguentemente al primo, anche il secondo fattore, ovvero l’allenamento in piccoli gruppi, rappresenta una tendenza significativa che molti club europei e d’oltreoceano hanno già imparato a sfruttare. Un modo alternativo ed efficace di aumentare la spesa media per cliente. Il presupposto è lo stesso del PT, ma con la differenza che la sessione di allenamento viene erogata ad un piccolo gruppo che va da 5 a 10 elementi.
Le modalità commerciali sono varie, da una cifra extra da aggiungere alla propria fee mensile, a pacchetti di lezioni “a consumo” da usare in modalità più o meno flessibili a seconda della politica commerciale del club. Il terzo concetto è legato intimamente ai primi due, ovvero si sviluppano sempre più le attività a pagamento separate dal costo dell’abbonamento base, seguendo il concetto del “pay per use”, ovvero pago solo ciò che effettivamente utilizzo.
In altri settori merceologici, ma sempre nel campo dei servizi, esempi illuminanti sono le pay TV (tipo sky per intenderci) ove il concetto di “pay per view” domina il costrutto commerciale dell’offerta. Queste forme di promozione sono il risultato di una contingenza economica che ha contratto i consumi di base e che ha modificato la predisposizione di spesa del consumatore, rendendolo molto più attento a non sprecare denaro in ciò che effettivamente non utilizza, indebolendo così il modello di proposta opposto ovvero l’ “all inclusive”.
La diffusione del low cost
Una conseguenza del pay per use e della contrazione dei consumi è la proliferazione in tutta Europa dei club cosiddetti “low cost” o “budget club”. Sono decine le catene che operano, soprattutto nei paesi anglosassoni (UK, Germania, Benelux) ma anche nell’Europa “latina” (Spagna e Portogallo) il fenomeno si sta imponendo. Nei casi più estremi si parla addirittura di 2,50 euro a settimana per frequentare un club.
Al di là delle considerazioni di carattere gestionale, che non sono il tema di questo articolo, il fatto che operatori importanti abbiano raggiunto numeri ragguardevoli di diffusione nel proprio mercato (primo fra tutti Mc Fit, che in Germania conta 120 locations) testimonia che il modello economico funziona e che è destinato ad imporsi anche in Italia, ovviamente con i dovuti aggiustamenti all’italiana, poiché oggi molti piccoli club sono già “low cost”, ma senza saperlo, ovvero vendono già ad una cifra mensile talmente bassa che rientrano in quella fascia prezzo.
Il problema di fondo è che non sono nati con questo modello e hanno probabilmente una struttura di costi (locazione dell’immobile e costo del personale) tale da non giustificare il regime di prezzo, innescando il fenomeno di cui abbiamo accennato sopra, ovvero, troppi club, prezzi troppo bassi e pericolo di sopravvivenza nel lungo periodo. Il messaggio generale è che il mercato è un elemento informe ed in continuo cambiamento, e l’unica strategia per sopravvivere e prosperare è gestire, se non provocare, questo cambiamento, in maniera proattiva e tempestiva per non correre il rischio di essere travolti, magari senza nemmeno accorgercene.
Gianluca Scazzosi