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Quali pesci pigliare?

Parliamo di un alimento nobilissimo ma che per svariati motivi non è sufficientemente apprezzato o perlomeno consumato dalla popolazione

Per prima cosa è bene chiarire che l’uso del pesce è cambiato nel corso dei tempi, seguendo mode ed esigenze. Il pesce rappresentava il “mangiare di magro”, mentre il piatto nobile era la carne. Nell’antichità il pesce aveva (come la selvaggina) un costo minimo, legato solo all’abilità del pescatore, non come la carne di animali di allevamento che avevano (come hanno oggi) un costo calorico/economico che richiedeva un elevato impegno sia di denaro che di tempo. Per alcune popolazioni il pesce ha rappresentato la maggiore fonte di sostentamento e, vivendo in un paese di mare, è facile raccogliere testimonianze di come il pesce fosse con i legumi e qualche sparuto uovo la fonte proteica per eccellenza, senza ambire a branzini e rombi, ma anche a semplici aringhe, pesce azzurro, molluschi raccolti sulla riva o sugli scogli.

Oggi la situazione sembra radicalmente rovesciata ed il piatto di pesce ha assunto le sembianze di una pietanza da ricco. Chiaro che se ogni volta che vogliamo mangiare pesce ci rivolgiamo a un ristorante la situazione è realmente così, non dimentichiamo che in primo luogo il pesce ha un tempo di preparazione solitamente di 3 o 4 volte maggiore della carne; oltre a ciò nei ristoranti l’utenza privilegia pesci nobili, di grande pezzatura, dalla polpa pregiata ma anche dal prezzo stratosferico.

La cottura
L’inconveniente di richiedere una lavorazione più “complessa”, insieme al fatto che la cottura del pesce emana inevitabilmente un odore più pungente e penetrante rispetto alla carne, ha fatto in modo che troppo spesso le casalinghe (o casalinghi) moderni tendano ad evitare di lanciarsi in piatti a base di pesce e di dover “sopportare” l’odore del cucinato. Il primo problema può essere facilmente bypassato facendosi preparare il pesce direttamente dal pescivendolo al banco, anzi, addirittura si trovano già tranci preparati alla cottura. Per le ricette, a parte sofisticate presentazioni di antipasti, cucinare ai ferri, al vapore o al forno, magari in crosta di sale, sono metodi semplici, dietetici e relativamente veloci. Il metodo di cottura è comunque determinante perché i grassi polinsaturi si deteriorano facilmente alle alte temperature; come già detto una preparazione del pesce è il cosiddetto “cartoccio”. In pratica la cottura avviene in un forno soltanto dopo avere avvolto il pesce in un foglio d’alluminio. In questo modo vengono conservati anche il sapore, l’aroma e la morbidezza del pesce. La frittura è invece sconsigliata poiché i famosi grassi omega 3, alle alte temperature, diventano instabili producendo residui nocivi per il nostro organismo. Il pesce crudo, se igienicamente trattato, è un metodo per mantenere integre al 100% tutte le prerogative sia proteiche che lipidiche.

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Le caratteristiche del pesce

Il pesce può avere un contenuto di grassi variabile dallo 0,5 al 30%, che determina una divisione fra pesci magrissimi (fino allo 0,1%), pesci magri (dall’1 al 5 %), semigrassi (dal 5 al 10%) e pesci grassi (oltre il 10%). Oltre che in base al loro contenuto di grasso, i pesci vengono classificati anche in relazione alla provenienza (di mare e di acqua dolce). Un’ulteriore differenza, molto evidente agli intenditori, è fra pesci di cattura e pesci d’allevamento, oltre a variazioni nel contenuto bromatologico si denota anche differenza alla palatabilità. Dal punto di vista nutrizionale, non vi sono particolari differenze ed in alcuni casi il pesce d’allevamento è superiore per igiene e genuinità.
Tutto, ovviamente, dipende dalle metodiche di itticoltura adottate.
Analoghe differenze si riscontrano (soprattutto per sapore e consistenza) fra pesci freschi e congelati; per questo motivo nei menù dei ristoranti deve essere segnalato questo aspetto. Comunque, fra i pesci più comunemente usati, abbiamo delle calorie medie intorno alle 100/110 ogni 100 gr con 0 carboidrati, proteine sui 17 gr e grassi sui 2/2,5 gr. Già questi valori attestano la bontà dell’alimento, ma occorre associarci un indice di digeribilità quasi doppio rispetto alla carne, questo determina sia un minore senso di “pesantezza” e gonfiore, sia una maggiore facilità e velocità di transito gastrico.
Ciò è dovuto alla mancanza di connettivo nella carne di pesce, qualità che però determina un facile sfaldamento delle fibre se si cuoce troppo o con temperature molto elevate. Il pesce è quindi ideale per persone o pasti che necessitino di rapida digestione (2 ore per i pesci magri) o che soffrano di patologie digestive. A onordel vero, questa affermazione non vale per tutti i pesci in quanto alcuni, soprattutto quelli da fondale, hanno un elevato contenuto di purine (sostanze provenienti dallo sdoppiamento di certe molecole azotate) e riscontrano maggiori difficoltà digestive.
Le proteine del pesce sono chiaramente nobili, quindi complete dal punto di vista degli AA essenziali; l’aminoacido limitante più diffuso fra i vari tipi di pesce è il Triptofano.
Uno degli aminoacidi più presenti è invece la Lisina, che è l’aminoacido limitante dei cereali e di alcuni vegetali. Ottimo quindi l’abbinamento fra cereali e pesce, verdure e pesce. Da non dimenticare che, sempre mediamente, le proteine derivate dal pesce hanno un valore biologico di 78/79, valore che non è quello dell’albume d’uovo o del siero del latte (100 e 104) ma è simile alla carne bovina (80/81). Altri parametri qualitativi: il PER (valore di efficienza proteica) registra un dato eccelso nel pesce (3.55), se si considera che il valore massimo si riscontra nell’albume dell’uovo (3.9) e che in tale classifica la carne bovina registra un 2,3 ed il latte un 3.0;l’indice chimico (più è alto questo indice e maggiore sarà la percentuale di aminoacidi essenziali) nel pesce totalizza un 70, cioè un valore pressoché uguale alla carne bovina. Altra considerazione va fatta sui tipi di grassi contenuti nei pesci, mediamente a livello quantitativo i grassi sono bassi, ma anche in quelli dove il contenuto è più alto c’è una abbondanza di Omega 3, grassi insaturi dalle polivalenti funzioni ed eletti ormai da tempo come paladini del benessere, del controllo del colesterolo, dei trigliceridi, e del benessere cardiovascolare.
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Come rilevato all’inizio, un’attenzione particolare va posta nella scelta del metodo di cottura per evitare di distruggerli, quella al vapore risulta essere ottimale, evitiamo la frittura e la bollitura. Anche il microonde, per tempi brevi di esposizione (quindi piccoli tranci), potrebbe garantire un mantenimento della struttura degli acidi grassi. Occorre anche un’attenzione all’eventuale presenza di mercurio che, insidiandosi nei grassi di deposito è potenzialmente un fattore di contaminazione per l’estrazione degli Omega 3. Certamente i moderni procedimenti di estrazione, per ciò che concerne gli integratori, consentono un ampio margine di sicurezza. Per il pesce fresco al fine di ridurre il rischio di assunzione di mercurio è sempre meglio scegliere i pesci ritenuti più sicuri dalle indicazioni dell’Environmental Defense Fund di Washington (Usa).
I pesci più sensibili all’inquinamento sono quelli in grado di filtrare grosse quantità d’acqua e di trattenere di conseguenza microrganismi patogeni. Sotto questo aspetto, pesci come le alici o il pesce azzurro in genere sono perfetti perché vivono poco (quindi minore rischio di assorbire inquinanti) e hanno un’altissima concentrazione di Omega 3.

Come riconoscere la qualità e freschezza di un pesce
A grandi linee il pesce va scelto seguendo tre sensi: l’odorato, la vista e il tatto. Il pesce fresco ha un odore tenue e salmastro che ricorda la salsedine, quindi non sgradevole. La vista ci consente di valutare il colore che non è opaco ma lucente metallico, inoltre gli occhi del pesce devono essere vivi e in fuori, con la cornea trasparente e lucida. Da diffidare l’acquisto di pesci privi di testa. Le scaglie, tranne che per alcuni pesci come ad esempio i cefali, le cui scaglie si staccano facilmente anche quando è fresco, devono essere brillanti e aderire al corpo, che deve essere rigido o arcuato. Le costole e la colonna, poi, devono essere aderenti alla parete addominale e ai muscoli dorsali.
Altro punto determinante sono le branchie, che devono avere un colore rosso brillante e senza muco, nel pesce non più fresco assumono una colorazione giallastra con un muco lattiginoso; emana inoltre un odore molto più forte che si allontana sempre più da quello piacevole di mare e salsedine. Usare infine il tatto per verificare che la carne sia soda ed elastica. Basta premere sul pesce con un dito, se togliendolo rimane l’impronta significa che non è fresco.
Il corpo, inoltre, deve essere abbastanza rigido e non deve afflosciarsi, inoltre se messo in acqua, poi, deve affondare.
Sono certo che la scelta del pesce sia perfetta in un’alimentazione salutistica e sportiva. Consentitemi anche di valutare come in una mia personalissima filosofia “pseudo etica” posso benissimo capire come ci si possa sentire in imbarazzo nel pensare alle vicissitudini che la fettina di manzo o agnello abbia vissuto… Basti pensare agli occhi teneri che un cucciolo di mammifero ispira solitamente nella maggioranza di noi. Con il pesce invece i nostri gradi di “parentela” sono molto più distanti e credo che i sensi di colpa o di affetto siano perlomeno minori (fermo restando il massimo rispetto per qualsiasi forma di vita, rispetto che è presente in molte religioni).
Un ultimo punto su cui riflettere è che una delle cause che ha portato l’uomo di Cromagnon a sopravvivere rispetto al Neanderthal sembra sia dovuta al fatto che a un certo punto dell’evoluzione il Cromagnon si è adattato a mangiare pesce. Il Neanderthal invece no e si è estinto… Visto che il Cromagnon è uno dei nostri parenti più stretti credo che anche questo meriti un ulteriore motivo per ordinare più spesso il pesce senza aspettare di essere in un ristorante in riva al mare.

Marco Neri

Fonte www.lapalestra.it

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