La corretta scelta del carico di lavoro in palestra - La Palestra

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Fitness

La corretta scelta del carico di lavoro in palestra

Un buon allenatore, nel compilare un programma di allenamento, non dovrebbe mai trascurare alcuni fattori cruciali. Scopriamo insieme quali.

Saper dosare il carico di lavoro in allenamento favorisce l’ottimizzazione dei risultati ma è tutt’altro che semplice. Quanto deve essere impegnativa una sessione o un ciclo di allenamento? Quanto tempo di recupero è necessario dopo una seduta e quando si è veramente pronti ad affrontare quella successiva?

Quelli appena esposti sono solo alcuni degli interrogativi che un allenatore si pone quando costruisce un programma di allenamento personalizzato. Si tratta di quesiti che bisogna tenere bene a mente se non si vuole rischiare di vanificare il lavoro svolto, provocare condizioni di carico eccessivo o, al contrario, insufficienti a determinare un incremento delle condizioni di forma e delle capacità prestative di un atleta.

Carico di lavoro allenamento + spesa energetica

Il carico di lavoro va considerato come un binomio tra carico esterno (l’allenamento) e interno (la spesa energetica e il grado di affaticamento che ne deriva) per poter valutare più correttamente gli effetti dell’allenamento sull’organismo.

L’errore più comune è quello di accertare solo gli effetti cosiddetti permanenti, desiderati, a cui sono rivolti gli sforzi profusi, e di ignorare quelli temporanei, immediati, che hanno invece una notevole importanza e sono in grado di condizionare gli effetti permanenti.

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L’allenamento come contenitore di stimoli

L’allenamento contiene degli stimoli e ogni stimolo, per essere realmente efficace, deve provocare un adattamento.

L’allenamento, riferibile alla singola unità o anche a periodi più lunghi, rappresenta il “carico esterno”, ovvero l’insieme delle singole esercitazioni con caratteristiche definite. A questo “carico esterno”, che determina degli stress, corrisponde una risposta immediata dell’organismo in termini di affaticamento. Quest’ultima rappresenta il “carico interno”.

Accade dunque che, a un determinato carico esterno, corrisponda in proporzione un certo carico interno: all’aumentare dell’uno si incrementa anche l’altro.

Tale affermazione è però vera solo parzialmente.

I carichi variano in base a tante variabili

Se teniamo conto degli effetti della super compensazione, allora dobbiamo sostenere che a parità di carico esterno corrisponde, nel tempo e con i dovuti recuperi, un carico interno via via inferiore. Ciò è dovuto all’aumento delle capacità prestative e, verosimilmente, per mantenere inalterato il carico interno si deve aumentare il carico esterno. Fin qui abbiamo presupposto che i recuperi fra gli allenamenti siano completi, per favorire gli adattamenti stimolati.

Diversamente, se ipotizziamo una serie di carichi esterni, ad esempio, in un micro ciclo, dove i recuperi non possono essere completi per ragioni di tempo, allora risulta che a carico esterno costante corrisponde un carico interno via via maggiore. Tale effetto dipende da un evidente accumulo dei sintomi della fatica che non possono essere smaltiti in un breve arco temporale. Pertanto, in questo caso, è necessario diminuire il carico esterno se si vuole mantenere invariato il carico interno.

Continuando l’analisi si può supporre che, a un determinato carico esterno corrisponde, per tutti, un particolare carico interno, ma questa affermazione non è corretta. Le variabili in gioco da tenere presenti sono molteplici.

Il carico esterno ha un valore oggettivo, è facilmente quantificabile e programmabile; al contrario quello interno ha un valore esclusivamente soggettivo ed è influenzato dalle condizioni di forma, dall’età, dall’umore ecc.

Proviamo a pensare a una particolare seduta di allenamento con determinate caratteristiche e alle conseguenze che determinerebbe in due individui diversi, uno allenato e l’altro meno. Per il soggetto più in forma la sessione potrebbe risultare molto leggera, per l’altro, invece, estremamente pesante. Quest’ultimo, in seguito, continuando ad allenarsi regolarmente, arriverebbe a percepirla meno impegnativa, ma poi, in un momento di particolare stanchezza, potrebbe tornare a sopportare a stento la medesima seduta.

In genere, nell’arco di un periodo lungo, con adegua ti recuperi che favoriscono un pieno adattamento e super compensazione, a carico esterno uguale farà riscontro un carico interno progressivamente inferiore.

Da qui l’esigenza di aumentarlo per adeguarlo alle nuove e maggiori possibilità, in modo tale da non interrompere, ma anzi esaltare, i continui progressi (principio della progressività e continuità del carico).

È tuttavia impensabile che il nostro organismo sopporti a oltranza aumenti di carico esterno, esso tende anzi ad arrivare a un livello di saturazione e a un peggioramento della propria condizione di forma. Questa situazione è definita “superallenamento”. Soltanto l’interruzione programmata della progressività del carico permette di recuperare completamente e riprendere poi l’allenamento con un incremento delle capacità (principio dell’adeguatezza e della variazione del carico).

In ogni caso, comunque, l’incremento è limitato, perché è legato al patrimonio genetico di ognuno di noi.

La misurazione del carico di lavoro

Il carico esterno, come accennato, è più semplicemente quantificabile attraverso la valutazione dei suoi parametri: il volume, l’intensità e, in alcuni casi, la densità.

Il volume identifica la quantità del carico svolto, misurabile con la somma degli esercizi o, meglio, delle serie complessive svolte. L’intensità è la percentuale dello sforzo prodotto rispetto alle capacità massimali. La densità è il rapporto tra tempi di lavoro e di recupero; pertanto è presente solo nell’allenamento a intermittenza.

Con l’aumentare di uno o più di questi parametri il carico esterno aumenta e di conseguenza l’allenamento risulta più impegnativo.

Misurare il carico interno è invece più difficile perché dipende quasi esclusivamente dalle condizioni soggettive dell’individuo. Il grado di stanchezza e di affaticamento non sono quantificabili anche se qualche tentativo in questo senso c’è stato. Basti pensare al monitoraggio della frequenza cardiaca a riposo che, qualora risulti troppo alta, in assenza di altre cause, indicherebbe un insufficiente recupero.

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Un errore da evitare

L’errore più comune nel dosaggio dei carichi esterni viene commesso quando non si considerano le attività che un soggetto svolge anche al di fuori della palestra.

Altri sport praticati nello stesso periodo, attività lavorative particolarmente impegnative e sforzi fisici rilevanti rappresentano dei carichi esterni a cui corrispondono dei carichi interni. Ci si dimentica che l’organismo sottoposto ai diversi impegni è sempre lo stesso e che le capacità di recupero variano in base alla quantità di stimoli a cui ci si è esposti. Non si deve mai trascurare, quindi, un’analisi d’insieme del soggetto a cui si propone un determinato programma d’allenamento e occorre tenere sempre presente i suoi impegni, sia sportivi che lavorativi, al di fuori della palestra.

Dario Sorarù

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