Principi fondamentali dell’idrochinesiterapia - La Palestra

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Fitness

Principi fondamentali dell’idrochinesiterapia

La scelta dell’ambiente acquatico facilita l’esercizio e la ripresa funzionale: scopriamo come e perché

Le indicazioni terapeutiche della riabilitazione in acqua abbracciano un ampio numero di patologie interessando varie specializzazioni mediche: dalle patologie pediatriche a quelle geriatriche, dalle specialità mediche (neurologia, cardiologia, reumatologia) a quelle chirurgiche (chirurgia generale, ortopedia e traumatologia).
L’acqua può accompagnarci sin dalla nascita (nuoto per le gestanti e parto in acqua) sino alla vecchiaia (prevenzione e terapia di artrosi e osteoporosi). La scelta dell’ambiente acquatico facilita l’esercizio e la ripresa funzionale e prima di essere intrapresa deve essere valutata in tutti i suoi aspetti: nulla deve essere lasciato al caso e non ci si deve far prendere dai facili entusiasmi dettati dalle “mode” in campo fitness e riabilitativo. Questa scelta sarà dettata dall’applicazione degli effetti fisici dei liquidi come galleggiamento, pressione e resistenza mista agli effetti fisiologici espressi dall’acqua come l’effetto antalgico ed antinfiammatorio con riduzione della sintomatologia dolorosa e delle flogosi.
Tra i principi fisici che rendono eccezionalmente efficace l’esercizio in acqua vi sono quelli legati alla pressione idrostatica (principio di Archimede e legge di Stevin) e quelli determinati dalla resistenza idrodinamica (leggi di Reynolds). Per il principio di Archimede il peso corporeo apparentemente si riduce, ottenendo così l’eliminazione del dolore dovuto al carico. Questo può essere sapientemente sfruttato utilizzando dei galleggianti per sostenere tutto o parte del corpo, permettendo una ripresa del carico (rachide ed arti inferiori) in modo graduale e progressivo.

Peso apparente di un corpo in immersione:

• Immersione totale 3% del peso reale

• Immersione sino al collo 7% del peso reale

• Immersione sino alle spalle 25% del peso reale

• Immersione sino all’ombelico 50% del peso reale

• Immersione sino all’anca 65% del peso reale

• Immersione sino al ginocchio 90% del peso reale

Per la legge di Stevin si ottengono l’effetto “calza elastica” ed una migliore propriocettività con migliore percezione della propria posizione dello spazio. La pressione che il liquido esercita sul corpo è direttamente proporzionale alla profondità di immersione e alla densità del liquido stesso. La compressione così ottenuta determina il passaggio di liquidi dagli spazi interstiziali al torrente circolatorio facilitando la circolazione di ritorno venoso al cuore con riduzione degli edemi declivi e lo stimolo tattile esercitato sulla pelle favorisce una migliore percezione della propria posizione nello spazio. La situazione di equilibrio precario richiede inoltre una riorganizzazione degli schemi motori. Per la seconda legge di Reynolds, quando il corpo si muove in un fluido è soggetto a una resistenza proporzionale alla sua forma e velocità. L’applicazione pratica può far sbizzarrire la fantasia dell’istruttore in acqua potendo scegliere tra i vari esercizi terapeutici contro-resistenza a difficoltà crescente modulando la velocità di esecuzione e tramite l’utilizzo di palmari e pinne.

Il calore dell’acqua ha un’importanza strategica per il terapista che può sfruttare gli scambi di calore per ottenere risultati differenti. L’immersione in acqua calda oltre i 35° provoca fisiologicamente vasodilatazione periferica con un iniziale tachicardia seguita a breve da bradicardia. Subentra inoltre un’azione miorilassante con riduzione delle contratture (tono muscolare) ed una riduzione della sensibilità periferica che aumenta la soglia del dolore producendo un effetto antalgico. Altresì per ottenere un effetto “neutro” con una perdita di calore sopportabile per i 30-40 minuti della seduta riabilitativa la temperatura del liquido dovrebbe essere vicina a quella della cute, ovvero 32- 34 gradi. Queste temperature favoriscono quindi la mobilizzazione passiva con riduzione della sintomatologia dolorosa. Sinora ho elencato solamente i principi fisici che possono essere ampiamente sfruttati dall’istruttore e dal terapista per personalizzare l’esercizio ma l’acqua non deve essere considerato solo come un mezzo o strumento ma come un ambiente che favorisce la relazione con il paziente fungendo da mediatore.
L’immersione produce una risposta emotiva con una sensazione di piacere sensomotorio dovuto sicuramente alla stimolazione epidermica ma anche per un effetto ancestrale di “ritorno al passato”. L’acqua è un elemento fondamentale presente all’origine della vita sia dal punto di vista filogenetico con il brodo primordiale, sia ontogenetico con il liquido amniotico, sia dal punto di vista costitutivo essendo la maggior componente del nostro stesso organismo. Queste sono le ragioni per le quali il movimento in acqua è indicato dalla nascita all’età avanzata sia nei soggetti sani che vogliono allenarsi e recuperare prestanza fisica sia in esiti di patologia per favorire il recupero funzionale e favorire i processi di guarigione.
Ciò non significa che la ginnastica in acqua sia sempre e comunque indicata: le controindicazioni all’idrochinesiterapia sono relativamente poche.

Primum non nocere

Controindicazioni assolute all’idrochinesiterapia:

• lesioni cutanee non cicatrizzate

• infezioni polmonari attive

• otiti

• congiuntiviti

• flebiti

• patologie cardiache (scompenso cardiaco grave, aritmie ed alto rischio, cardiomiopatie).

È quindi d’obbligo prima di pianificare un ciclo di idrochinesiterapia raccogliere i principali dati clinici e, soprattutto in presenza di patologie cardiache, pianificare l’intensità degli esercizi in acqua con il medico curante.
Dopo anni di puro empirismo, importanti contributi per la realizzazione di programmi specifici alle varie esigenze sono venuti dai risultati dello studio del movimento in ambiente in assenza di gravità, osservando l’adattamento sensoriale e motorio nella variazione delle strategie posturali.

Ogni programma dovrebbe prevedere tre fasi:

1) fase di ambientamento

2) esercizi di: mobilizzazione generale, tonificazione muscolare, coordinazione ed equilibrio

3) fase di rilassamento

La fase di ambientamento può durare due minuti oppure una o più sedute e dipende da come reagisce il paziente. La gestante all’ottavo mese, il ragazzo con problemi di spasticità, lo sportivo dopo un intervento agli arti inferiori o la persona anziana con rachialgia su base osteoporotica avranno, come esempio, tempi diversi per prendere coscienza del nuovo ambiente.
Oltre alla valutazione delle disabilità è importante valutare il grado d’acquaticità ed il profilo emotivo del soggetto. È sempre in questa fase che concentreremo l’attenzione del paziente sulle differenze del movimento tra parte sana e parte lesa, sulla capacità di percezione dello stato di contrazione e decontrazione muscolare, sul respiro con le fasi di inspirazione-espirazione. La presa di consapevolezza del proprio respiro porterà in maniera graduale anche il paziente più pauroso ad immergere il viso. Il terapista dovrebbe lavorare in acqua e non limitarsi ad osservarlo da bordo vasca. Tra i due corpi immersi in acqua non c’è spazio vuoto, c’è sempre il liquido che unisce e che divide al tempo stesso e che può essere sfruttato per guadagnarsi la fiducia indispensabile per il proseguio delle attività. I valori di riferimento cambiano, passiamo dalla posizione verticale a quella orizzontale, non vi sono appoggi solidi ma mobili: è necessario che l’istruttore guidi l’adattamento e la trasformazione del paziente verso un vero e proprio corpo acquatico.
Solo dopo questa fase saremo in grado di capire se gli obiettivi specifici e generali del trattamento inizialmente teorizzati potranno essere raggiunti.
I tempi di recupero normalmente sono precoci rispetto alla fisioterapia classica, tuttavia la soggettività del rapporto del paziente con l’ambiente acquatico è alla base del successo terapeutico. L’indicazione al trattamento in acqua nasce sicuramente dalla valutazione funzionale del paziente e dalle considerazioni dello stato psicofisico ma non devono essere posti in secondo luogo rispetto alla gestione dei problemi rieducativi e logistici. L’approccio al paziente nasce da protocolli di lavoro che si adatteranno al paziente e non viceversa. Ad esempio la semplice metodica d’entrata e uscita dall’acqua deve essere studiata non solo in base al paziente ma anche dalle peculiarità architettoniche dell’impianto di cui si dispone. L’impianto ad hoc per il singolo paziente è difficile da avere sotto casa ma la varietà di esercizi e la preparazione dell’istruttore possono permettere grandi risultati anche da impianti piccoli e con difficoltà architettoniche.

I centri specializzati per la riabilitazione in acqua non sono molti in Italia ma per i casi in cui è necessaria una riabilitazione di secondo livello potrebbero essere utilizzati tranquillamente gli impianti sportivi e le piscine dei centri fitness. In quest’ultimo caso si favorirebbe anche il lavoro di équipe con il fisioterapista, chinesiologo o personal trainer per il passaggio del recupero anche in ambiente gravitario “a secco”.

Marco A.V. Piras

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